“Tutto ciò che non viene donato va perduto” – lettera di Arianna dal Brasile

20180225ariannaMi sveglio abbastanza presto anche se è Sabato; io e Suor Eliene ieri ci siamo accordate di fare colazione insieme per dare inizio alla giornata frenetica che ci aspettava; scendo le scale di passo svelto e mi guardo intorno pronta per dire il mio carico “Bom Dia”come ogni giorno, ma in casa non c’è nessuno né in cappella, nè nella sala da pranzo. Decido ugualmente di apparecchiare la tavola, le solite tovagliette della colazione, i soliti due sotto pentola, uno per il suo leche e uno per il mio cafè.

Prendo il mio piccolo borsello che mi porto sempre dietro, con qualche spicciolo, la fotocopia ripiegata del passaporto e le chiavi di casa ed esco per andare a comprare qualcosa alla padaria all’angolo.

Sono le 8 e mezza e la rua riposa ancora, cammino serena con le mie quattro pagnotte sotto il braccio e mi guardo intorno: l’aria è fresca e il cielo coperto, “Secondo me pioverà anche oggi” penso, ed entro in casa.

Mentre cerco nel mio zaino le chiavi del cancello di casa, mi prendo un attimo per guardarmi attorno: il sole sta scendendo, alcuni passanti mi guardano e mi sorridono augurandomi “Bom tarde” e io ricambio, soffermandomi ad osservare i disegni sul muro azzurro che circonda la escola dove oramai da qualche settimana trascorro le mie giornate. Oggi, come ogni sera, arrivo a casa e mi sdraio sul letto distrutta dal dia intenso e pieno, ma mentre appoggio la testa sul cuscino e chiudo un attimo gli occhi, mi scorrono davanti tutti i momenti vissuti: alcuni piccoli e semplici altri così pieni e vivi e subito un sorriso mi avvolge e non posso fare a meno che pensare “ Che bello!”

Mi piace molto questo sentimento particolare che oramai condisce ogni mio momento qui in Rua Odilon Chaves, un insieme di domande e dubbi su quanto vissuto, unite ad una gioia piena nel cuore per le perle che ogni bimbo mi ha donato, al male agli addominali per le grasse risate fatte in compagnia di Suor Cristiana e Suor Eliene, durante l’immancabile lavaggio piatti della sera e la splendida soddisfazione sorta dalla convinzione di avere fatto qualcosa di bello per qualcun altro.

Oggi questa mistura di emozioni è particolarmente forte e travolgente perché Katia, la professora a cui sono stata assegnata per questi tre mesi non è venuta a scuola, non stava bene. All’inizio pensavo che la direttrice stesse scherzando quando alla mattina mi ha dato questa notizia sorridendo sotto i baffi! E invece era vero! Dopo una settimana e mezza in Brasile e una settimana sola alla escola, mi sarei ritrovata da sola in classe con 8 bambini sordi! E belli scalmanati anche!

“Pensi di farcela o li smistiamo nelle altri classi?” mi chiede Marisa, la coordinatrice del corpo docenti; io, presa da un momento di panico, mi volto e lancio un’occhiata a suor Eliene che, seduta nel suo “ufficio”, ovvero una cattedra nel bel mezzo del cortile perché le piace “vedere le persone”, mi guarda sorridendo, incuriosita da quello che avrei risposto. “Nono! Ce la faccio!” rispondo, con un tono di sfida positiva: avevo davvero voglia di mettere in pratica tutte le idee che mi frullavano in testa negli ultimi giorni!

Bhe, quello è stato solo l’inizio di tre mattine passate come unica insegnante di un’intera classe di crianças sordas: sono stati giorni bellissimi, pieni di sfide, di pensieri circa le attività che potessero essere più appropriate per far capire loro un certo concetto, di una matematica interattiva fatta di giochi e di costruzioni di castelli e di ore di arte sdraiati in cerchio a pintar e a ridere.

 La cosa che più mi incuriosisce e, perché no, mi gasa dell’insegnare ai bimbi sordi è che tu non puoi dare assolutamente nulla per scontato: il significato che si nasconde dietro ad ogni singola parola deve essere verificato sempre nei loro piccoli occhietti vispi e non è detto che ciò che uno di loro ha capito sia lo stesso di quello che ha capito un altro. E mi piace molto il fatto che è come se fossimo pari io, Miguel, Anna Luiza, Guilherme, Richard, Rafael, Guilherme Soler e Evillyn : io sto imparando la lingua dei segni grazie a loro, vocabolo per vocabolo a seconda di quello che devo dire di giorno in giorno e sono loro a correggermi se sbaglio la posizione delle dita nel fare un segno e questo fa sì che essi stiano sempre accorti per vedere se, questa stramba maestra venuta da un paese che a malapena sanno come si scrive, saprà o meno parlare in modo corretto!

E mentre mi rigiro nel letto in questa mezz’oretta di riposo prima di iniziare a preparare la cena, ripenso a quanto detto da Suor Eliene mentre stavamo tomando o cafè nella pausa pranzo prima di tornare a scuola:

Perché con i sordi quello che oggi con fatica e determinazione sei riuscito a trasmettere, domani è tutto da ripetere, magari con modalità differenti e il giorno dopo ancora e ancora ma questo non ti deve far demordere dall’obbiettivo!”.

In queste settimane sto davvero pensando tanto alla bellezza e all’importanza del rallentare il proprio passo per poter camminare accanto a chi ha tempistiche diverse dalle nostre; ed è proprio la pienezza della diversità che mi riempie il cuore nel trabaliar con i sordi, perché per ogni cosa che fai, sia essa gioco o attività devi tenere sempre a mente le piccole grandi storie di ognuno di loro; e questo è proprio il conto di una di quelle piccole grandi storie: il suo nome è Rebecca ed ha quattro anni.

Nella folla di bimbi che arriva correndo sotto il sole cocente dell’una di pomeriggio della periferia di San Paolo la si può riconoscere molto bene: lei arriva con un passo incerto ma fiero e determinato trascinandosi dietro la sua piccola cartella rossa a pois con le rotelle,in testa una spilla con un fiocco rosa per cercare di fare ordine in un ciuffo di capelli ricci e sul viso un sorriso travolgente;  Rebecca a causa di una mancanza di ossigeno nel cervello ha qualche difficoltà a camminare e ad usare il braccio sinistro e questo si ripercuote sul suo equilibrio, sempre precario e nella sua percezione dello spazio ma nessuna di queste cose la ferma davanti ad alcuna sfida. La volta in cui sono rimasta più stupita da lei è stato qualche giorno fa, quando io e Sonia, la maestra con cui tengo i bimbi dai 2 ai 4 anni nel pomeriggio, abbiamo preparato un percorso per farli esercitare nell’uso del corpo, sulla presa di consapevolezza di alcuni particolari movimenti di coordinazione ed equilibrio; io pensavo in cuor mio che Rebecca avrebbe riscontrato grandi difficoltà nell’eseguirlo ma è stato bellissimo constatare che avevo proprio torto: come abbiamo iniziato a preparare il percorso si è illuminata e, curiosa, mi ronzava intorno cercando di capire cosa stessi facendo e al momento della spiegazione non mi toglieva gli occhi di dosso, attentissima ad ogni piccolo movimento mentre tutti i suoi compagni più agili e forti si perdevano guardando la palla o ridendo gli uni con gli altri; al momento del suo turno, la piccola Rebecca mi ha lanciato uno sguardo entusiasta e subito dopo è partita in quarta senza perdere l’equilibrio ne fare un passo falso, giungendo al posto soddisfatta, ma non stupita, poiché già convinta di potercela fare benissimo.

La piccola e forte Rebecca così come ogni bambino di questa scuola mi sta davvero aiutando a combattere tanti preconcetti o idee che inevitabilmente nel corso della vita ci creiamo in testa, frutto dell’educazione, del mondo in cui cresciamo e del nostro modo particolare di vivere certe cose.. in queste settimane sto felicemente imparando che rallentare non è sinonimo di perdere occasioni, bensì strumento per vedere le cose da molte più angolature e prospettive e quindi possibilità per acquisire una visione molto più completa del paesaggio in cui ci troviamo a camminare; sto iniziando ad imparare che essere aldiqua o aldilà della cattedra non sancisce chi insegna a chi, perché sto imparando mille volte di più dal lato da cui mi sono sempre aspettata che avrei insegnato e, infine, sto imparando il valore genuino e puro della ripetizione e della tenacia.

Mentre ci sediamo a tavola io, Suor Eliene e Suor Cristiana, passandoci a vicenda la pentola stracolma di arroz appena fatto o quella con il chuchu caldo, ci scambiamo anche i pensieri maturati nel corso della giornata, le fatiche e gli aneddoti divertenti. Nel raccontare la mia giornata da professora improvvisata e le attività svolte con i bimbi scorgo nei loro occhi un tocco di soddisfazione e di felicità, frutto della bellezza nel constatare che, come loro, anche io mi sono innamorata di questo particolare e strano mondo, l’insegnamento ai sordi.

Quello che ci distingue dagli altri insegnanti” mi dice Suor Cristiana, intenta nello stesso tempo ad intagliare con il suo coltello preferito la fetta di manga come ogni sera “è che come siamo diventate suore in questo ordine, abbiamo fatto voto di amare in modo incondizionato tutti i bambini sordi dal primo momento, non di voler loro bene solo dopo averli conosciuti, ma di amarli da subito, tutti  quanti; perché è una vocazione che va aldilà di ogni cosa” mentre mi dice queste cose io guardo suor Eliene che pela la sua laranja  e intanto annuisce e ricordo di aver notato in entrambe lo stesso luccichìo negli occhi che non vorrei mai dimenticare.. è in quella luce che traggono la forza e l’energia per portare avanti ogni lungo, faticoso, pieno, colorito e splendido giorno qui, in questo piccolo angolo di Brazil.

 Questo secondo strampalato conto si conclude con un altro detto brasileiro che mi è stato donato una sera da Suor Eliene e che secondo lei, ma anche secondo me, riassume perfettamente la bellezza dell’insegnamento alla crianças sordas:

 “àgua mole em pedra dura tanto bate ante que fura”

[L’acqua molle batte talmente tanto nella pietra dura che arriva a fare un foro]