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preghiera_1domenica di avvento
Canto
Salmo 95 (da Salmi d’Oggi – Sergio Carrarini)
Intonate un canto al Signore,
un nuovo canto di lode gioiosa,
un canto che coinvolga la terra
per benedire il suo nome in eterno.
Ripercorrete la storia della salvezza,
fate memoria attenta e contemplativa
dei grandi interventi di Dio,
della sua amorosa attenzione per l’uomo.
Adorate il Signore che è il Santo,
il Dio onnipotente e misericordioso,
il redentore e l’alleato dell’uomo,
il fondamento di ogni vera speranza.
Tutti gli idoli e i miti dell’uomo
sono solo seducenti sirene
o mostri che incutono paura
ma non possono liberare e salvare.
Solo Dio è amore e sicurezza,
brezza leggera e roccia inespugnabile,
perdono dei peccati e gioia di vivere,
pace, silenzio e comunione d’amicizia.
Lodate il Signore, uomini della terra,
lodatelo con cuore riconoscente;
lui solo amate e servite,
a lui solo la vostra obbedienza.
Ogni giorno, al mattino e alla sera,
e ogni domenica, il giorno di festa,
inginocchiatevi davanti al Signore
e ringraziatelo di esservi Padre.
Offritegli in dono la vita
e cantate per lui i vostri canti;
fate festa, gioite, siate liberi,
accogliete la sua Parola di luce.
Parlategli dal profondo del cuore
delle ansie, delle attese, dei sogni,
dei progetti per il vostro futuro.
Rinnovate la speranza che è in voi.
Ricordate che ogni persona, ogni fatto,
è guidato dalla mano di Dio;
c’è una meta che attende la storia,
un compimento al di là del presente.
+ Dal Vangelo secondo Marco (Mc 13, 33-37)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati.
Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».
Ascolta “1.Domenica d’Avvento 2020 – 29 Novembre” su Spreaker.
Riflessione – don Gherardo, missionario fidei donum della diocesi di Firenze in Ciad
Come ogni anno, la liturgia della Parola della prima domenica di avvento ci invita a riflettere sul discorso escatologico di Gesù, cioè il discorso che riguarda le cose ultime, in particolare quel discorso dove troviamo l’annuncio del suo ritorno nella gloria alla fine dei tempi. Nel testo del Vangelo di Marco che abbiamo ascoltato c’è un verbo importante, ripetuto tre volte alla forma imperativa: vegliate. Gesù racconta la parabola di un uomo che, prima di partire per un viaggio, lascia la sua casa affidando ai suoi servi il potere di custodirla, con un ruolo particolare riservato al portiere.
È interessante osservare, nel modo di raccontare di Gesù, il cambiamento di persona. C’è un passaggio un po’ brusco dalla terza persona del singolare alla seconda del plurale: “è come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi”, “vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino”. Ci accorgiamo di questa bella tecnica narrativa con questo passaggio dalla terza persona del singolare alla seconda del plurale, che ha come scopo proprio quello di coinvolgerci nel racconto, di farci sentire come la Parola ha il potere di trasformare la nostra vita.
Che cosa significa, dunque, vegliare? Potremmo dire che, prima di tutto, si tratta di fare memoria. I quattro possibili momenti del ritorno del padrone di casa richiamano il racconto della passione: alla sera Gesù si consegnò in pasto ai suoi, a mezzanotte fu tradito, al canto del gallo fu rinnegato, all’alba fu condannato. C’è un testo molto bello del profeta Isaia che parla del servo sofferente dicendo: “L’istruzione della nostra pace è su di lui, per le sue piaghe noi siamo stati guariti”. L’ascolto della Parola di Dio e la preghiera ci permettono di fare memoria di questo amore fedele del Signore, di combattere le false immagini di Dio. Il salmo 103 dice: “Non ci tratta secondo i nostri peccati e non ci ripaga secondo le nostre colpe. Com’è tenero un padre verso i figli, così il Signore è tenero verso quelli che lo temono”. Fare memoria, dunque, significa proprio riconoscere che il Signore tornerà allo stesso modo in cui è stato visto salire in cielo.
Vegliare poi significa essere fedeli nel servizio: il padrone prima di partire ha dato il potere ai suoi servi. Il termine greco impiegato in questo versetto, exousia, è quello che si trova all’inizio del Vangelo di Marco per descrivere il modo di insegnare di Gesù: egli insegnava come uno che ha autorità, exousia, e non come gli scribi. Questo potere è dunque il dono che abbiamo ricevuto, che ci permette di realizzare la nostra esistenza, di avere la vita, e la vita in abbondanza. Un grande artista, Pablo Picasso, diceva che il senso della vita è quello di trovare il vostro dono, lo scopo della vita è quello di regalarlo. Trovare il dono e regalarlo sono due compiti difficili, ed è per questo che il Signore chiama delle persone accanto a noi per svolgere il compito di portiere nella sua casa. Dietro questa figura del portiere possiamo vedere quegli uomini e quelle donne che si assumono delle responsabilità nella Chiesa per il bene dei loro fratelli e sorelle: catechisti, educatori, preti, suore, vescovi. Il portiere è chiamato a una doppia vicinanza: difendere gli abitanti della casa dall’intrusione di persone malintenzionate che potrebbero mettere in pericolo il bene del padrone, e al tempo stesso favorire l’accesso di quelli che si lasciano attirare dalla chiamata del Maestro, specialmente attraverso la testimonianza dei suoi servi. Proprio così, come auspica Papa Francesco nella parte finale dell’esortazione Evangelii Gaudium, la Chiesa diventa una casa per molti, una madre per tutti, e rende possibile la nascita di un mondo nuovo. Vegliamo, dunque, perché tutti possano vegliare, giungendo a conoscere il Signore a partire dell’amore che avremo gli uni per gli altri.
Lo storico romano Tito Livio attribuisce a Menenio Agrippa questa bella favola: una volta le membra dell’uomo, constatando che lo stomaco se ne stava ozioso ad attendere cibo, ruppero con lui gli accordi, e cospirarono tra loro dicendo che le mani non portassero cibo alla bocca, che la bocca non lo accettasse, che i denti non lo masticassero a dovere. Ma mentre intendevano domare lo stomaco, a indebolirsi furono anche loro stesse e il corpo intero giunse al deperimento estremo. Di qui apparve che l’ufficio dello stomaco non è quello di un pigro, ma che, una volta accolti, distribuisce cibi per tutte le membra. Se dunque le membra nutrono il corpo, questi a sua volta nutre loro, inviando a tutte le parti del corpo quel principio di vita e di forza che circola nelle vene, il frutto della digestione: il sangue.
Vegliamo dunque, e costruiamo dei ponti di amicizia, ed è questo che ci permetterà veramente di attendere con tutta sicurezza e con tutta fiducia Gesù che viene come un amico per salvarci.
Salmo 131
Signore, non si esalta il mio cuore
né i miei occhi guardano in alto;
non vado cercando cose grandi
né meraviglie più alte di me.
Io invece resto quieto e sereno:
come un bimbo svezzato in braccio a sua madre,
come un bimbo svezzato è in me l’anima mia.
Israele attenda il Signore,
da ora e per sempre.
Canto